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Cosa c’è dietro la nuova funzione anti-bufale di Facebook

Disputed, contestato. E’ questa probabilmente la parola che, dopo like, sentiremo di più da oggi in avanti su Facebook. L’argomento più dibattuto delle ultime settimane è divenuto realtà: una nuova funzione, dopo la segnalazione di spam e contenuti offensivi, la segnalazione di fake news (bufala). Chiunque, nell’era della democratizzazione delle informazioni potrà contestare un contenuto condiviso sul social di Mark Zuckerberg. E, con un packaging grafico degno del miglior alert antivirus o spyware, un triangolo su fondo rosso, quel contenuto/post/articolo verrà bollato come contenuto contestato: attenzione, quello che stai per leggere potrebbe non essere vero.

La lotta alle bufale (e al click baiting)

Apparentemente, una mano santa per chi, quotidianamente, cerca di proporre ai propri lettori giornali e prodotti di informazione di qualità, una mannaia, forse il colpo di grazia per tutti coloro i quali hanno monetizzato centinaia, migliaia, di pagine e gruppi Facebook a suon di click baiting.

Dopo le iniziative filantropiche, l’invito a correre e i progetti per portare internet con il drone Aquila, Zuckerberg ci ha messo la faccia personalmente anche su questa operazione-verità. Facebook sceglie la qualità, la verità, a dispetto della quantità, del traffico. Eppure.

Eppure ci sono una serie di ragionamenti che sarà bene iniziare a fare, per evitare l’effetto boomerang. Anzi, più effetti boomerang. Il primo, quello della libertà d’espressione, perché chiunque potrà segnalare i contenuti a lui ostili, o peggio, gruppi di pressione che sceglieranno di “boicottare” determinati contenuti, bollandoli come fake. Per i motivi più disparati, dalla politica, alla religione, ad esempio.

Dallo shit storming alla post verità

Nei primi anni duemila il web ha conosciuto fenomeni di boicottaggio come lo shit storming. Oppure, di contro, limitazioni della libertà d’espressione su forum e newsgroup soggetti a moderazione e controllo, in quanto privati.

Anche Facebook è privato, non ce lo dimentichiamo mai. E’ la casa di Mark Zuckerberg, che oggi, legittimamente, ci sta comunicando le nuove regole d’ingaggio per stare e condividere idee e contenuti nel suo social network. Nel suo, non nel nostro.

La speranza è che, nell’epoca che qualcuno ha già ribattezzato della “post-verità” non diventi un modo per chiudere il recinto. Per non creare una nuova infosfera chiusa, perché questo è il grande potere che oggi Facebook ha nelle sue mani. E da un grande potere derivano grandi responsabilità, direbbe quello stesso Spider Man che tanto piace al papà di Facebook.

Lo ricordiamo a noi stessi. Anche come esercizio di brain storming. Ancora oggi c’è una funzione molto simile al nuovo tasto “contesta”, lo strumento della segnalazione di contenuti offensivi, che  però molto spesso finisce per creare molta confusione piuttosto che ordine all’interno del social network. Mettendo in discussione finanche principi inviolabili come i diritti fondamentali dell’uomo. Un grande calderone dove non si distingue più tra vittime e carnefici.

L’abuso dei “contenuti offensivi”

Un esempio limite, che in passato ha riguardato direttamente anche chi scrive. Grazie ad alcune ripetute segnalazioni di massa, per circa 2 anni il blog del movimento antimafia Ammazzateci Tutti è stato ritenuto da Facebook come “sito offensivo”. Certo, per Riina e le mafie probabilmente lo era. Mentre lì c’erano solo ragazzi e ragazze che portavano avanti battaglie contro la ‘ndrangheta, anche soprattutto diffondendo attraverso un sito internet (completamente autofinanziato) informazioni e notizie scritte da altri.

Ecco la vera grande sfida che Zuckerberg ha dinnanzi a sé: dimostrarci che l’orizzonte della democratizzazione delle informazioni, anche e soprattutto sul sito più usato nel mondo dopo Google, sia ancora un orizzonte di libertà, prima ancora che di verità. Anche perché, sul web, tutto è opinabile. Purtroppo e per fortuna.

@aldopecora

 
 

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