Ne abbiamo dette di ogni, io per primo, però l’annuncio dell’arrivo di Libra, la “moneta” di Facebook, un merito ce l’ha: ha acceso un grande riflettore sul panorama delle criptovalute, contribuendo ad alimentare il dibattito anche intorno al mondo blockchain e DLT (più avanti vi spiego la differenza tra queste due cose).
Il tema, insomma, esce finalmente dai nostri snobissimi salottini nerd ed inizia a diventare “pop”. E’ vero che noi addetti ai lavori, soprattutto i divulgatori, ci sentiamo anche un po’ meno “soli”, ma è anche vero che abbiamo una grande responsabilità in più, poiché se fino a qualche mese fa eravamo impegnati a diffondere le basi più elementari e primarie del fintech e del mondo crypto, adesso abbiamo il dovere da qui ai prossimi mesi (e, credetemi, voleranno!) di allargare subito il cerchio d’azione ed accompagnare soprattutto chi allo stato attuale sa poco o nulla di queste cose in una full immersion che vada dalle cripto scuole medie ai cripto esami di maturità in un batter d’occhio.
Sì, è difficile. No, non è impossibile.
Ho avuto un’idea. E se anziché scrivere solo articoli divulgativi iniziassi a raccontare un po’ più dall’interno le mie attività? E’ un esperimento molto utile, perché consente a voi di avere spiegazioni (spero) semplici di concetti altrimenti abbastanza ostici, e a me di rimettere in ordine le idee.
Mi spiego meglio.
Chi mi segue sa che sui temi blockchain e fintech incarno un ruolo un po’ ibrido tra il giornalista e l’influencer. Mi capita continuamente di incontrare sulla mia strada nuove startup, alcune proprio ai primi vagiti. Non manco mai di dedicare parte del mio tempo all’attività di mentoring, che in alcuni casi (pochissimi) sfociano anche in collaborazioni (perché vi voglio bene, ma dopo 2 ore di conversazione è già diventata una consulenza ed io non lavoro gratis!) sia in ambito marketing che, soprattutto, di validazione dei revenue model e di sviluppo del business.
E dato che vi sto per parlare di una di queste realtà e sapete quanto ci tenga alla t-r-a-s-p-a-r-e-n-z-a, dichiaro subito che tra me e la startup di cui leggerete è in essere un rapporto di collaborazione professionale. Nel senso che ho conosciuto ed incontrato – credo già tre volte – il CEO, sono stato invitato a far visita al loro quartier generale, sono entrato a conoscenza di brevetti, ho firmato un NDA (accordo di non divulgazione), eccetera. Dopo aver fatto loro una miriade di domande (lo faccio sempre, perché è una specie di stress-test) sono rientrato a Roma, li ho studiati, ho “tradotto” in parole semplici e comprensibili la loro offerta commerciale, ho cercato di capire bene il loro campo d’azione e le potenzialità che forse non avevano considerato e consegnerò loro nei prossimi giorni un report di business intelligence che probabilmente integreranno nei loro piano di go-to-market e di business development.
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A PROPOSITO…
Sono parecchio selettivo, ma altrettanto curioso. Per cui se hai un progetto davvero interessante e vuoi parlarmene, contattami!
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Ah, una precisazione. Gli stessi founder leggeranno questo post (che contiene anche alcuni spunti della mia analisi) solo una volta pubblicato. Perché puoi essere anche Elon Musk, ma quando e cosa scrivere lo decido sempre e solo io. Peraltro, in questo caso, conosco bene l’NDA che ho firmato, quindi so di cosa posso parlare e di cosa no. Ma so, soprattutto, di cosa voglio parlare e che è importante che vi spieghi al meglio.
Prima, però, dobbiamo fare un attimo un passo indietro. Ricordate quando accennavo in apertura di questo post a Libra? Ecco, Libra è la moneta digitale stabile, la valuta (più o meno crypto), io più propriamente lo definirei token (ma magari ne parleremo di nuovo, non adesso). Ma per poter utilizzare Libra gli utenti dovranno possedere un wallet, che si chiama in quel caso Calibra. Il wallet, lo diciamo ai meno pratici di questi temi, è il nostro “conto corrente”, quello strumento attraverso il quale effettuiamo le nostre transazioni.
Ecco. Siccome di database stiamo parlando, non è un mistero, oramai, che una delle più grandi novità introdotte dal mondo bitcoin e blockchain sia il fatto che ad ogni transazione da un soggetto A ad un soggetto B potesse essere agganciata, trascritta e, quindi, certificata un’operazione. In una parola: smart contract (anche se a dire il vero si parla di contratti intelligenti già dagli anni ‘70).
Gran parte del merito di questi nuovi utilizzi alternativi di blockchain, e più propriamente del principio ad essa intrinseco di “fiducia”, è di Ethereum (qui vi avevo spiegato cos’è, come funziona, eccetera. Dategli un’occhiata, perché è un format del quale vado abbastanza fiero).
Sembra essere passata un’epoca, ed invece – a pensarci – stiamo parlando di meno di 5 anni fa. Oggi, soprattutto con la diffusione delle cosiddette DLT (Distributed Ledger Technology, volgarmente conosciute come “blockchain private”) gli smart contract sono una realtà, e ci sono diversi player in tutto il mondo che provano a contendersi questo mercato.
Trinci, un “sistema operativo” per creare smart contract
Anche in Italia abbiamo un vivaio abbastanza promettente di startup e fintech in ambito smart contract. Tra queste, mi ha incuriosito un gruppo di ragazzi che vive quasi “nascosto” nella maremma toscana. Parliamo di circa venti persone tra informatici, sviluppatori, avvocati ed ex trader che sta costruendo un modello ibrido blockchain/DLT (“consente di lavorare come blockchain pubblica che blockchain privata”, promettono) nella quale non c’è solo un registro che trascrive e certifica le operazioni di smart contract, ma un ecosistema integrato (e, soprattutto, scalabile) di diversi smart contract (loro lo definiscono un “sistema operativo”). La novità è nella fruizione di questi smart contract perché sono presentati sotto forma di app.
Questo “sistema operativo” si chiama Trinci, e permette il funzionamento degli smart contract attivi su un wallet chiamato Syncrony, il cui lancio è avvenuto proprio in questi giorni e chi vi scrive è di fatto il primo a parlarne in assoluto.
Quindi, tornando alla metafora di Libra e Calibra, in questo nuovo ecosistema (100% Made in Italy) Trinci è la Libra della situazione e Syncrony è Calibra. L’una non può esistere senza l’altra.
Chi ci sta dietro
Syncrony e Trinci sono figlie di una startup, Affidaty, che ad un anno e mezzo dalla sua costituzione è divenuta società per azioni, chiudendo un aumento di capitale (un nuovo investitore ha iniettato in cassa 1 milione di euro per il 4% di equity).
Per testare gli smart contracts Affidaty ha anche messo in piedi la sua prima rete di nodi, circa 60 terze parti, i quali – utilizzando hardware ingegnerizzato, assemblato e venduto dalla stessa Affidaty – non “mineranno” affatto criptovalute ma, più semplicemente, “transeranno” gli smart contract, guadagnando chiaramente una fee per ogni operazione conclusa.
Più che miners potremmo definirli provider. E qui va dato atto a Dane Marciano, il fondatore e folle motore filosofico-imprenditoriale di Affidaty, di essere riuscito già (almeno sulla carta) a by-passare giganti del calibro di Hyperledger, senza far venir meno i livelli di sicurezza massimi di mercato (per i più nerd: i nodi Affidaty sono certificati a livello Alfa).
Ho chiesto, istintivamente, a Marciano: “Perché non li hai installati da loro, i nodi, che avevano già tutto pronto?”
“Perché costavano troppo”, mi ha risposto.
Qualora non si fosse capito, non solo Affidaty non paga per avere quei nodi che sono fondamentali al funzionamento dei suoi smart contract (come fanno la stragrande maggioranza delle startup operanti su DLT, appunto, acquistandoli dalle varie Ibm, eccetera) ma “guadagna” anche attraverso la vendita delle macchine a chi quei nodi li installa nelle sue farm. Chiaramente non è questo il modello di business, ma è indubbiamente un vantaggio competitivo.
Inutile, in questa sede, parlare più analiticamente delle app che gireranno su Trinci.
Le prime quattro sono state già disvelate e molte, sfruttando logiche anche didattiche e di gamification, “creano” azioni (e quindi smart contract) che sono rese possibili mediante l’acquisto di “crediti” acquistabili di volta in volta dagli amministratori/somministratori degli smart contract. Ma torneremo sicuramente a parlarne.
Quanto valgono (davvero) gli smart contract?
Sono sicuro che molti di noi (dico noi e non voi, volutamente) ritiene questi argomenti ancora molto lontani dalla sua vita quotidiana. Niente di più sbagliato. Non parlo tanto in termini di vantaggi per chi sceglie di cavalcare l’onda a livello imprenditoriale ma anche, banalmente, per il singolo cittadino/consumatore/utente.
Ora, va da sé che è facile immaginare i sempre più vicini impatti degli smart contract in ambito bancario, assicurativo, eccetera.
È verosimile pensare che non andremo a siglare continuamente contratti per l’acquisto di una casa o di un’automobile. Ma proviamo a spostare l’asticella più in alto e fare un esempio pratico di cosa vuol dire smart contract. O meglio, di quanti contratti ogni giorno sottoscriviamo, anche tacitamente.
Vi faccio un esempio soltanto. Avete presente quando acquistiamo un medicinale? Dentro troviamo il cosiddetto “bugiardino”, quel foglio illustrativo piegato in millemila parti e scritto a caratteri microscopici. Ecco, quello, forse non lo sapete, ma è un contratto. Ma quel contratto è uguale in centinaia di milioni di scatole dello stesso prodotto e non è associato allo scontrino di acquisto. Ecco, con uno smart contract ogni acquisto di quel medicinale può avere un suo unico contratto che “lega” la casa farmaceutica, il medico curante (o l’azienda ospedaliera), il farmacista ed il paziente.
Non solo. Immaginiamo anche che anche le nostre informazioni sanitarie siano in qualche modo certificate da uno o più smart contract che sono quindi “interrogabili” istantaneamente al momento dell’acquisto del farmaco: eviteremmo di incorrere in acquisti incauti (farmaci che reagiscono tra di loro, principi attivi ai quali siamo intolleranti, eccetera eccetera) facendoci risparmiare tempo, soldi e problemi.
E mi risparmio di descrivervi tutta la potenziale filiera di certificazione del farmaco prima della sua messa in vendita. Ma vi assicuro che con gli smart contracts, magari uniti ad altre tecnologie quali l’IoT (Internet of Things) si può fare.
Adesso immaginate quante centinaia di migliaia di operazioni di queste, ogni minuto, potrebbero essere effettuate in Italia, in Europa, nel mondo.
Eccola la potenza di fuoco degli smart contract. E le potenzialità per chi in questo mercato deciderà di starci, guadagnando uno zero virgola qualcosa da ogni transazione. Moltiplicato per milioni e milioni di operazioni. Senza sosta.
